Il caos politico in Iraq e la destabilizzazione della regione Mediorientale

da: Redazione
3 Ottobre 2022

Lo scorso 29 agosto, Muqtada Al-Sadr ha annunciato il proprio ritiro dalla vita politica del paese. La decisione del leader sciita ha scatenato proteste in tutto il paese, con i suoi sostenitori che sono scesi per le strade della capitale a manifestare, in maniera – tuttavia – tutt’altro che pacifica. Le violenze hanno causato numerosi morti e feriti.

Il ruolo della famiglia Al-Sadr

Una decisione inaspettata quella di Muqtada Al-Sadr arrivata come un fulmine a ciel sereno e che ha colto i più in controtempo. Al-Sadr è infatti una delle figure pubbliche più conosciute ed influenti del panorama politico iracheno. È discendente di una famosa e potente famiglia sciita, ed ha raccolto l’eredità politica del padre Sadiq, figura di spicco e riferimento per il mondo sciita iracheno negli ultimi anni dello scorso millennio. Egli è infatti sempre stato una spina nel fianco per il regime di Saddam Hussein, opponendovisi e tutelando la maggioranza sciita schiacciata ed oppressata dal regime del Rais. Il figlio, Muqtada, ha ereditato dal padre la stessa avversione nei confronti di chi, nel corso degli anni, ha tentato di imporre la propria influenza o egemonia sull’Iraq, avversione nei confronti di chi, nel corso degli anni, ha tentato di imporre la propria influenza o egemonia sull’Iraq.

Dapprima, si è schierato contro l’intervento miliare e l’invasione del paese da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati. Poi, ha combattuto contro l’ISIS e il suo tentativo di far nascere un nuovo Califfato in Medio Oriente. Coerente con proprie idee circa l’indipendenza del popolo iracheno, si è anche opposto fermamente all’influenza esercitata dall’Iran nel paese ed ai suoi tentativi di aumentare il proprio potere: in questo senso, la goccia che ha fatto traboccare il vaso nei rapporti con Teheran è stata la repressione violenta – anche da parte delle milizie sciite legate all’Iran – delle manifestazioni e proteste di piazza di fine 2019.

Il distacco tra Al-Sadr e le élite politico-religiose iraniane è emerso in maniera chiara dopo che l’Ayatollah Kadhim al-Haeri ha messo in dubbio la legittimità di Al-Sadr a guidare il movimento sadrista fondato dal padre, nonostante alle elezioni politiche del 2021 egli avesse portato il partito Al- Sairoon ad ottenere la maggioranza relativa dei voti in Parlamento.

Il sistema politico iracheno e il conflitto inter-etnico ed inter-religioso

La recente vita politica del paese ha avuto come spartiacque l’intervento militare della colazione internazionale a guida statunitense del 2003 l’intervento militare della coalizione a guida statunitense del 2003: la caduta di Saddam ha sì portato ad una forma di governo democratica, ma la destrutturazione del regime, operato attraverso lo smantellamento totale del sistema delle Forze Armate e di sicurezza e la delegittimazione della stragrande maggioranza degli esponenti del panorama politico del paese – stesso modus operandi utilizzato in Libia nel 2011 – ha avuto come conseguenza anche quella di far precipitare il paese in una spirale di continua instabilità (complice la mancanza di un serio e strutturato progetto di statebuilding da parte della coalizione occidentale intervenuta).

La frammentazione etnica e religiosa che caratterizza il paese si è riflessa anche a livello politico, tanto che dal 2006 il paese è sprofondato in un costante stato conflitto armato tra sciiti e sunniti, alimentato dalle politiche discriminatorie del governo sciita guidato da Nuri Al-Maliki tra il 2005 e il 2014, ma anche dalle ingerenze straniere.

L’impatto delle dinamiche interne al paese sulla regione mediorientale

L’influenza che le dinamiche di politica interna e quelle di politica estera esercitano vicendevolmente l’una sull’altra emerge in maniera chiara in un paese come l’Iraq. Baghdad ricopre infatti un ruolo chiave all’interno del complesso sistema di sicurezza regionale, per caratteristiche interne al paese e peculiarità di quelli vicini. Anzitutto, al proprio interno l’Iraq ospita numerosi ed importanti siti e luoghi religiosi venerati dagli sciiti; infatti, circa il 60% della popolazione appartiene a questa fede religiosa. Tuttavia, a seguito delle ritiro di Al-Sadr, la comunità sciita si è ritrovata ancora più divisa e frammentata di quanto già lo fosse, e sembra che Teheran abbia perso – a partire dall’episodio delle proteste del 2019 ricordato prima, passando per la morte di Qassem Suleimani – una parte di potere che esercitava sul paese.

In secondo luogo, il patto sociale sul quale si è retta la stabilità del paese, cioè quello tra sciiti, sunniti e curdi, ha subìto forti traumi dopo la lotta all’ISIS, rendendo più difficile arrivare ad un compromesso che permetta di esprimere un governo in grado di guidare il paese. Lo dimostra il fatto che, ad un anno circa dalle ultime lezioni politiche, il paese sia ancora privo di un esecutivo espressione dei risultati delle urne.

Questi elementi di instabilità generano preoccupazioni nella regione, poiché molti paesi hanno interessi a che Baghdad eviti lo scoppio di un conflitto interno: l’Iran, per i motivi sopra elencati; la Turchia, che a seguito della lotta all’ISIS è stabilmente presente nel nord del paese, nella provincia di Ninive, per condurre operazioni contro quelli che identifica come terroristi (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan); Israele, che a seguito degli accordi di Abramo ha cominciato ad intrattenere relazioni più o meno stabili e pacifiche con molti stati arabi della regione, al fine di arginare l’influenza iraniana.

Eventuali “danni collaterali” causati da forze sciite porterebbero ad una nuova polarizzazione del confronto tra Teheran e Tel Aviv, con conseguenze su una serie di processi in atto volti a normalizzare i rapporti tra gli stati della regione: primo fra tutti, il negoziato sul nucleare iraniano.

 

Articolo di Andrea Meleri – tratto da Istituto Analisi Relazioni Internazionali

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