di Giuseppe Palazzo
L’Approccio Realista
La strategia russa in Medio Oriente si avvale di un approccio realista alle relazioni internazionali, il quale evita di dividere il mondo tra alleati e nemici, rinnegando una visione moralistica degli affari politici. Nella visione di Mosca tutti gli stati rientrano nell’ambigua definizione di “partner”, ed ognuno ha il diritto di porre i suoi interessi all’interno del più ampio tavolo della pax russa nella regione.
Il partner più ambiguo: l’Iran
La partnership con l’Iran è figlia del mancato recupero delle relazioni tra, da un lato, Iran e occidente, e dall’altro, tra Russia e occidente. Costrette a guardarsi negli occhi a causa del mancato raggiungimento della posta più ambita: entrare nel circuito di legittimazione mondiale monopolizzato dagli Stati Uniti. La relazione è caratterizzata da importanti rapporti commerciali (colpiti dalla paura delle sanzioni americane), dalla cooperazione sul gas e sull’energia nucleare, insieme alla collaborazione militare. Il principio geopolitico delle relazioni russo-iraniane è, in buona misura, basata sul principio “il nemico del mio nemico è mio amico”. Entrambi vedono nell’altro un utile strumento per rafforzarsi in funzione anti-americana. Tuttavia si tratta di una relazione storicamente ambigua e incostante. Dopo la politica estera di Ahmadinejad (2005-2013) basata sul “guardare ad est”, i moderati guidati da HassanRouhani hanno tentato di recuperare le relazioni con l’Occidente attraverso l’accordo sul nucleare, allarmando la Russia. Il destino dell’accordo ha però reso ancora più irrinunciabile il dialogo con la Federazione Russa. Tuttavia, Iran e Russia non sono alleati naturali. Possono al più cooperare tatticamente in settori ed aree circoscritte. Così hanno assicurato il potere di Assad in Siria per comune tattica, ma differente strategia. L’Iran necessita di mantenere in vita la parvenza di “corridoio imperiale” fino al Mediterraneo perché parte della dottrina militare di deterrenza. La sua riduzione però non è percepita positivamente dalla Russia che vede nel fattore filo-iraniano in Siria un promotore d’instabilità ai danni di Assad, data la palese minaccia percepita da Israele. Inoltre, data l’importante relazione russa con Arabia Saudita e, soprattutto, Israele, è chiaro che, in caso si trovasse costretta a scegliere, la relazione con l’Iran verrebbe sacrificata.
La relazione più profonda: la Siria
Da qui arriviamo alle relazioni con la Siria. Esse hanno radici profondi e risalgono alla metà degli anni ’40. Durante la guerra fredda, a prescindere dai nove colpi di stato a Damasco, la Siria è stata un partner fondamentale del campo socialista, beneficiando dunque di aiuti economici e militari. Dopo il collasso dell’URSS, Federazione Russa ha velocemente ricostruito le relazioni con gli Assad. La Siria è centrale perché può realizzare l’eterno desiderio russo di avere accesso ai mari caldi, attraverso il porto di Tartus. Dalla guerra di Crimea (1854-1856), esso rimane uno dei più importanti obiettivi strategici russi. Con l’intervento nella guerra di procura siriana, Mosca è riuscita a sviluppare un’influenza prominente, emarginando sempre più altri attori esterni, dall’Iran alla Turchia agli Stati Uniti. L’approccio russo si è basato sulla teoria del controllo, per la quale l’occupazione del territorio non è sufficiente a stabilire una stabilità sociale e istituzionale. Questi necessitano di assistenza economica e militare, aiuto umanitario, controllo dei media, influenza sulla leadership politica e controllo effettivo del territorio. In questo senso, la Russia è riuscita laddove gli Stati Uniti, seppur in una condizione ben più complicata qual era l’Iraq, hanno fallito. Tuttavia la pax russa e l’apparente ritiro americano dalle aree curde non va solo letto come una vittoria di Mosca, ma probabilmente anche come una tattica per portare due aspiranti egemoni, Russia e Turchia, allo scontro diretto. In questo senso la vittoria russa sul campo si potrebbe trasformare in un pantano, e nell’inceppamento della cooperazione con la Turchia, la quale, a sua volta, sarebbe costretta a richiedere un maggiore supporto americano (già ad es. la recente richiesta turca di schierare Patriot sul confine).
Cooperare per non farsi la guerra: la Turchia
La relazione con la Turchia è una delle più controverse delle partnership russe. Dopo l’abbattimento di una caccia russa nel 2016, Mosca e Ankara hanno raggiunto un elevato grado d’insopportazione reciproca, salvo concludersi nelle scuse di Erdogan alle soglie del Cremlino. La Turchia, dopo avere aiutato e finanziato gruppi jihadisti in Siria, e rischiato l’isolamento internazionale, ha dovuto ri-approcciarsi al crescente attore locale per non venire travolta dai fallimenti militari e le vittorie sul terreno del regime di Assad. L’avvicinamento turco-russo ha beneficiato anche del tentato colpo di stato del 2016. Secondi alcune fonti, i russi avrebbero intercettato informazioni dalla costa siriana riguardo al colpo di stato, le quali poi sono state trasmesse al governo turco. Erdogan, se questa ricostruzione fosse vera, ha usato il tentato coup d’état per capire chi fossero i suoi amici e chi i nemici. La mancanza di sostegno e l’evidente speranza nel successo del golpe da parte delle cancellerie occidentali ha alienato la fiducia turca verso i suoi stessi alleati. La relazione turco-russa è caratterizzata anche da un’importante cooperazione energetica: grazie al TurkStream, la Turchia importa grandi quantità di gas dalla Russia, il che la porta ad essere un aspirante hub energetico nella regione. Inoltre la Russia necessita di una buona relazione con il vicino ottomano a causa della particolare demografia russa. La Federazione ha, infatti, nel proprio seno importanti comunità islamiche, situate nel Tatarstan, legate ad Ankara. Tuttavia, i motivi principali per cui Ankara è un attore fondamentale per il Cremlino è, da un lato, la possibilità di creare una rottura interna alla NATO, e, dall’altra, stabilire una comunicazione fiduciosa con un partner con il quale gioca una partita a somma zero. Infatti la guerra civile in Siria si è rivelata una guerra per procura tra Russia e Turchia, senza che i due rinunciassero però al dialogo tattico. Le frizioni strategiche arrivano fino alla Libia, essenziale hub per sostanziare l’influenza di uno dei due (impossibile entrambi) nel mediterraneo orientale. A tal fine è utile a Mosca anche la relazione con Al-Sisi, sfruttando la sua intenzione di guadagnarsi un prezzo maggiore agli occhi degli americani fingendo un’oscillazione di partnership con i russi.
In conclusione, il Medio Oriente non può essere dominata da alcuna potenza, tanto meno da un paese in estrema difficoltà strategica come la Russia. Tuttavia Putin si è dimostrato eccellente tattico nel consolidamento indiscusso di una reputazione positiva e di relazioni e pilastri geopolitici su cui aggrapparsi in caso di probabili tempeste future.
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