Tasse e big tech – è forse questa una delle più grandi questioni sul tavolo delle istituzioni europee da qualche anno a questa parte.
Nelle ultime settimane sembrano esserci state delle importanti novità a riguardo. Il punto di svolta, secondo gli esperti del settore, sembrerebbe essere stato l’arrivo sulla scena politica internazionale del Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden.
Nel settore tecnologico in particolare, c’è un’opportunità per una più stretta collaborazione, anche perché il potere di colossi online come Amazon , Google e Facebook è diventato nel frattempo misterioso anche per gli americani. È proprio il Presidente Americano ad aver recentemente presentato un piano per una imposta globale minima sulle grandi aziende fissata attorno al 15%. L’elemento di svolta rispetto alle contrattazioni del passato risiederebbe nella decisione storica di far pagare le tasse nel Paese in cui i profitti vengono riscossi. Ma soprattutto di farli pagare equamente in base ai guadagni.
Tasse: la proposta delle potenze economiche del G7
Finora le cose sono andate diversamente: oltre alle grandi multinazionali, anche alcuni Paesi, più vantaggiosi a livello fiscale, hanno tratto giovamento dalle attuali condizioni. Tutta un’altra storia per gli Stati con tassazione elevata.
Il cambio di marcia c’è stato anche da questo lato dell’Atlantico grazie alla decisione di fare fronte comune da parte di alcune nazioni europee (le principali economie del vecchio continente, quali Francia, Germania, Italia e Spagna).
Gli europei sono un po’ più avanti degli americani: negli USA sono state presentate venerdì scorso le prime bozze per la regolamentazione delle grandi imprese digitali, in UE da dicembre. Finora le multinazionali hanno reagito con cautela e non hanno interrotto la nuova armonia tra UE e USA. Sono anche interessati alla concorrenza leale, hanno detto ai parlamentari che stanno lavorando sui dettagli del regolamento. La collaborazione, su un problema che coinvolge quasi tutti gli Stati membri, ha permesso di riuscire lì dove si era fallito nelle contrattazioni passate. Google e Facebook hanno dato il proprio benestare a questa proposta giunta dal G7 (che riunisce al suo interno le sette principali potenze economiche mondiali, tra cui anche l’Italia).
Secondo i criteri dell’UE, solo poche società sono regolamentate
In effetti, è controverso su quali società il DMA (Digital Market Act) dovrebbe specificamente interessare. L’obiettivo è regolamentare piattaforme che le piccole imprese non possono ignorare. Ci sono vari criteri per identificarlo: l’ammontare delle vendite, la capitalizzazione di mercato, il numero di utenti e in quanti paesi dell’UE il gruppo è attivo.
L’elemento di crisi che ha determinato, per certi versi, questa situazione di stallo, risiede nella differenza di tassazione imposta dai vari Stati dell’Unione Europea.
Nonostante sia in vigore un mercato unico di beni e servizi, permangono 27 diversi codici fiscali. Tale situazione comporta un aumento dei costi per le imprese, una riduzione della crescita potenziale e degli investimenti e un aumento della complessità. Condizioni che spesso facilitano la via dell’elusione fiscale. Anche su questo fronte l’intenzione è quella di un cambio di indirizzo. Sembra, infatti, si voglia lavorare ad un nuovo piano che potrebbe portare, in un futuro non troppo lontano, ad una dichiarazione dei redditi unica per le società all’interno dell’UE.
Di che guadagni si parlerebbe?
L’iniziativa sull’introduzione di nuove tasse ai grandi player internazionali segue l’accelerazione dei colloqui tra 140 Paesi dopo le proposte degli Stati Uniti. Da notare che il tasso minimo è già sceso dal 21% inizialmente proposto al 15% attuale.
Ma parliamo di cifre. Secondo lo studio pubblicato dall’UE Tax Observatory, con questo accordo le entrate fiscali dei Paesi europei potrebbero crescere di una quota compresa tra il 13 ed il 50% . Se si considera una aliquota minima del 15%, nelle casse delle nazioni europee potrebbero entrare circa 50 miliardi di euro in più all’anno. Tuttavia, resta comunque il problema della ripartizione di queste somme tra i vari Paesi. In più c’è sempre da risolvere l’annosa problematica della differenza di tassazione che abbiamo affrontato in precedenza. Come andrà a finire? Questo lo sapremo solo più in là. Resta il fatto che le grandi multinazionali, con molta probabilità, dovranno cominciare a mettere mano al portafogli. E questa volta non si parlerà di spiccioli.