Il 2021 sarà l’anno delle ‘web tax’?

da: Redazione
7 Maggio 2021

Articolo scritto da: Andrea Meleri

L’economia digitale è in continua e rapida crescita, e la pandemia globale ne ha accelerato l’ascesa. Le piattaforme digitali hanno ormai invaso qualsiasi ambito della nostra vita, privata e non, ad una velocità spaventosa, tanto che dall’avvento dei primi smartphone o dei primi social network sembrano passati decenni, quando in realtà è poco da poco più di 10  anni che nelle nostre giornate facciamo uso quotidiano di strumenti digitali. Nonostante ciò, gli attori pubblici, sia nazionali che sovranazionali, ancora non hanno saputo rispondere, in maniera esaustiva, alle sfide economiche, giuridiche e politiche che questi nuovi strumenti hanno imposto.

Regolamentazione piattaforme digitali: Unione Europea all’avanguardia

La delicatezza del tema è ben rappresentata dalle difficoltà nel riuscire a giungere ad una soluzione equa e soddisfacente per tutti gli attori in gioco. Già da diversi anni, soprattutto dal punto di vista economico, il G20 e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) hanno preso l’iniziativa per trovare un accordo in materia di digital tax, ma i negoziati si sono interrotti la scorsa estate. Gli USA hanno infatti comunicato ai partner europei di voler sospendere, in maniera temporanea, i lavori sulla Global Digital Tax[1].

Sul piano giuridico, i legislatori europei stanno lavorando all’introduzione di nuove normative circa l’ambito digitale, il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), che andranno ad aggiornare la legislazione vigente, ad ora risalente al lontano 2000 (Direttiva sull’eCommerce), riducendo il gap con la realtà del mondo digitale. La Commissione Europea ha avanzato due proposte nel marzo 2018, e sembra che questo, o il prossimo, possano essere gli anni propizi per la conclusione dei lavori. Considerando anche le recenti dichiarazioni del commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni [2], secondo cui, se entro la fine del primo semestre 2021 non si arriverà ad una soluzione in sede OCSE la Commissione Europea presenterà la propria proposta, i tempi sembrano maturi.

Cosa sono il DSA e il DMA:

Il Digital Services Act, come spiegato sul sito della Commissione Europea[3], apporta significativi miglioramenti per quanto concerne i meccanismi per la rimozione dei contenuti illegali e l’efficace tutela dei diritti fondamentali degli utenti online, compresa la libertà di parola. La normativa fa soprattutto riferimento a quelle piattaforme che raggiungono più del 10% della popolazione dell’UE (oltre a Google, Amazon, Facebook e Apple ve ne sono altre). Le nuove regole, tra le altre cose, darebbero agli utenti la possibilità di contestare la rimozione di contenuti da parte della piattaforme e fornirebbero loro informazioni chiare sul perché dei contenuti consigliati. Analizzando l’altra faccia della medaglia, l’obbligo per le piattaforme sarebbe quello di spiegare come vengono rimossi alcuni contenuti, come vengono mostrate le pubblicità e riferire chi mostra i contenuti.

Si è usato il condizionale per una semplice ragione: la proposta fatta dalla Commissione deve ora passare al vaglio di Parlamento europeo e Consiglio, e durante l’iter legislativo la proposta può subire dei cambiamenti. Stesso discorso circa eventuali modifiche va fatto anche per quanto riguarda il Digital Market Act, il cui scopo è quello di agire ex-ante. Facendo ancora una volta riferimento al sito della Commissione Europea, la norma intende introdurre una serie di criteri oggettivi per definire le piattaforme online che hanno le caratteristiche di “gatekeeper[4], che cioè controllano un essential facility (ossia un asset indispensabile ai concorrenti per operare sul mercato). Lo scopo è favorire la competizione, obbligandole a condividere i dati con i competitor, proibendo l’uso di informazioni non pubbliche appartenenti agli utenti per competere in modo scorretto, favorire una maggiore connessione tra consumatori e imprese operanti sulla piattaforma[5].

Le ricadute politiche ed economiche:

Sul piano economico, le ragioni che spingono ad introdurre una tassa sulle piattaforme digitali riguardano, ancora una volta, l’inadeguatezza della legislazione vigente. Attualmente infatti la tassazione è legata al luogo in cui si svolgono fisicamente tutte o parte delle attività aziendali, e ciò si è rivelato essere anacronistico, per ordini di ragione differenti: anzitutto, è difficile stabilire la presenza fiscale di alcune società, dato che i servizi digitali forniti da questo tipo di aziende richiede una presenza fisica minima in una data giurisdizione fiscale.

In secondo luogo, nell’ambito del business digitale non è chiaro come e dove venga creato valore economico partendo dall’utilizzo dei dati raccolti dalle Big Tech (non a caso, oggi si parla del fenomeno della datafication, ovvero la raccolta di dati senza uno scopo preciso, ma da usare come merce di scambio da vendere ad attori terzi)[6]. Le nove regole europee, se approvate, non faranno sconti alle piattaforme digitali: in caso di violazioni, infatti, sono previste ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale annuo dell’impresa e penalità di mora fino al 5% del fatturato medio giornaliero.

Dal punto di vista politico, il segnale che arriva è forte ed ha un duplice significato. Anzitutto, è importante che l’Unione Europea non vada in ordine sparso sul tema, evitando così di mostrarsi ancora una volta debole e frammentata su questioni decisive, ma, al contrario, attore in grado di perseguire scopi e interessi comuni (anche se, a proposito, bisogna ricordare le iniziative unilaterali di Francia, Italia e Ungheria nell’introdurre proprie digital tax)[7].

A ciò bisogna aggiungere che la Direttiva sull’eCommerce sopracitata, che non addossa alle piattaforme la responsabilità circa i contenuti veicolati e i prodotti venduti, ha avuto ricadute sulla qualità del dibattito democratico, favorendo il diffondersi di fake news e polarizzazione del confronto politico[8].

La democrazia, infatti, non è solo una questione di quantità, bensì anche di qualità, e regole più chiare potranno aiutare a trasformare anche il web in uno strumento utile al contesto democratico. Il digitale ha oramai pervaso ogni aspetto delle nostre giornate, ma ancora non siamo totalmente capaci di averci un “confronto” proficuo. Come ogni nuovo strumento, occorre imparare ad usarlo e a conoscerne punti di forza e debolezze.

[1]https://quifinanza.it/fisco-tasse/digital-tax-usa-sospendono-trattative-in-europa-si-cerca-lintesa/393971/

[2]https://www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=11466

[3]https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/digital-services-act-ensuring-safe-and-accountable-online-environment_it

[4]https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/europe-fit-digital-age/digital-markets-act-ensuring-fair-and-open-digital-markets_it

[5] Per indicazioni più precise, si rimanda al sito della Commissione Europea già citato

[6] cfr. con Surveillance & Society. Datafication, dataism and dataveillance, José van Dijck

[7]https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/digital-tax-aspettando-biden-29089

[8] cfr. con Il potere socievole, Fausto Colombo (Mondadori, 2013)

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