La convenienza di Italia ed Europa ad investire in Nord Africa: l’esempio virtuoso di Green Stream e Transmed

da: Redazione
17 Aprile 2023

Nella notte tra il 19 ed il 20 marzo, la nave Golar Tundra è approdata al porto di Piombino, in provincia di Livorno. L’imbarcazione è un rigassificatore, cioè uno strumento attraverso il quale il Gas Naturale Liquefatto (GNL) viene riportato allo stato gassoso, per poi essere immesso nella rete. L’infrastruttura – che entrerà in funzione da metà maggio – sarà in grado di garantire all’Italia quantità di gas pari a 5 miliardi di metri cubi l’anno.

Diversificazione energetica: prima e dopo l’invasione dell’Ucraina

L’accaduto è l’occasione per riflettere sulle scelte italiane ed europee in termini di diversificazione energetica. L’invasione russa dell’Ucraina ha infatti obbligato il Vecchio Continente ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas e dalle altre tipologie di fonti energetiche russe. I dati mostrano che Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Moldavia, Finlandia e Lettonia dipendevano al 100% dal Cremlino, la Bulgaria al 77%, mentre Germania e Italia tra il 45 e il 50%. Mediamente, fino allo scoppio della guerra, circa il 35-37% del gas europeo proveniva da Mosca. Il dato si è drasticamente abbassato fino a rappresentare oggi una quota minimale. Il gap causato dal verticale crollo delle forniture di gas russo è stato colmato attraverso l’incremento di importazioni effettuato dalla Norvegia, tramite GNL (USA, Qatar e Nigeria) le cui quote di mercato a fine 2022 sono rispettivamente 24,93%, 25,72% e 11,6%, e dall’Algeria con Mosca ferma al 12,9% 

Gas&geopolitica: perché non raddoppiare il TAP

Che la dimensione energetica sia uno dei driver della politica estera italiana e dell’azione esterna dell’Unione Europea è un dato di fatto, sia che si tratti di energia derivanti da fonti fossili, sia che si faccia riferimento alle cosiddette fonti rinnovabili. Questo è tuttavia un tema che esula le relazioni internazionali – intese come rapporti diplomatici tra gli stati – ed entra in maniera prepotente nel campo della geopolitica, poiché riguarda il rapporto tra potere degli stati e spazi geografici e tempi determinati. Uno dei fattori che determina questo rapporto, questa relazione, è la questione energetica; in particolar modo, ciò è vero per quegli stati che hanno necessità di soddisfare il proprio fabbisogno energetico rivolgendosi all’esterno, poiché non possono/non vogliono farlo producendo energia sul proprio suolo.

La dimensione energetica diventa dunque anche terreno di competizione tra soggetti geopolitici, dato di fatto esacerbato in maniera prepotente dallo scoppio della guerra in Ucraina. Uno dei paesi cui molti stati europei si sono rivolti è l’Azerbaijan, da dove parte il Corridoio meridionale del gas. Da qui transita in Georgia, Turchia ed arriva in Italia, attraverso il Trans Adriatic Pipiline (TAP). Lo scorso 18 luglio, Unione Europea e Azerbaijan hanno firmato un Memorandum of Understanding (MoU) che prevede il raddoppio delle attuali forniture di gas entro il 2027, arrivando così ad una capacità totale di 20 milioni di metri cubi di gas all’anno. Il 30 gennaio, invece, il consorzio TAP ha annunciato che la società attiverà il primo livello di espansione della capacità aggiuntiva per 1,2 miliardi di metri cubi all’anno.

Nonostante i grandi proclami a seguito della firma dei nuovi impegni, emergono due problematiche che rischiano di divenire un’arma di carattere geopolitico nelle mani degli attori con cui Europa ed Italia si trovano in competizione. La prima ha una dimensione tecnica: dei 12 miliardi di metri cubi che sarebbero dovuti arrivare, – secondo i dati del Ministero dell’Energia azero – ne sono stati forniti solo 11,4. Nessuna spiegazione è stata data in merito. Contestualmente, Mosca e Baku hanno annunciato in novembre un accordo col quale Gazprom ha fornito 1 miliardo di metri cubi di gas all’azienda di stato azera SOCAR fino a marzo 2023. Logico pensare che L’Azerbaijan intenda utilizzare il gas russo per uso interno/export verso terzi differenti dall’Unione Europa, di modo da concentrare quanto estrae in casa propria per adempiere ai nuovi impegni presi con Bruxelles. Baku non sta aderendo alle sanzioni contro Mosca – dunque non ha obblighi da rispettare – ma è chiaro che l’accordo con Gazprom rende irrilevanti le mosse europee, perché semplicemente “sposta” i flussi di gas, e non li riduce.

In secondo luogo – anche se di minore rilevanza – il raddoppio del TAP renderebbe la Turchia, competitor di Roma nella corsa per divenire nuovo hub energetico e nelle dinamiche geopolitiche del quadrante mediterraneo, un player ancora più pericoloso, perché dotato di un’arma di ricatto il cui peso specifico potrebbe raddoppiare, e una fonte di maggiori entrate per il governo di Ankara (visto che gran parte dell’infrastruttura transita su suolo turco).

Green Stream e Transmed

Il nostro paese importa grandi quantità di gas soprattutto dal Nord Africa, attraverso il Green Stream ed il Transmed (da Libia ed Algeria). Queste infrastrutture hanno un enorme rilevanza strategica per Roma. Sin dalla nascita di Eni, infatti, il modello di relazioni adottato da Enrico Mattei è stato improntato alla cooperazione e al favorire lo sviluppo dei paesi esportatori. Tutt’oggi tale approccio è rimasto valido, tanto che in Libia, per esempio, la società milanese soddisfa circa l’80% del fabbisogno di gas del paese nordafricano. Inoltre, grazie all’assistenza fornita per la manutenzione delle centrali elettriche, garantisce l’energia necessaria al sostentamento di 2 milioni di nuclei familiari. L’approvvigionamento energetico resta una priorità per il nostro paese, ma il modus operandi riflette l’ampia portata che le politiche energetiche hanno in questo contesto, soprattutto nel tentativo di contribuire alla stabilizzazione della Libia, luogo di partenza di molte rotte migratorie dirette in Italia.

L’altra grande fonte di approvvigionamento è l’Algeria – maggior fornitore di gas del paese – che soddisfa circa il 40% del fabbisogno italiano. La pipeline Transmed ha origine ad Hassi R’Mel, in pieno deserto, transita per un pezzo in Tunisia e da qui giunge in Sicilia, a Mazara del Vallo. Il gasdotto può essere considerato il simbolo delle buone relazioni storiche che intercorrono tra Algeri e Roma; oltre alla dimensione energetica, infatti, va considerata quella commerciale. L’Italia risulta essere il primo paese destinatario dell’export algerino, e il quarto per quando riguarda l’import; in tal senso, durante la visita del Premier Meloni dello scorso gennaio era presente anche Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, il quale ha firmato un Memorandum di Intesa con il Consiglio di Rinnovamento Economico Algerino.

In sostanza, nell’ottica di conciliare interessi strategici con necessità energetiche, la sponda sud del mediterraneo rappresenta la scelta su cui l’Italia deve puntare in maniera decisa in materia di cooperazione. In particolare, ciò vale per l’Algeria, poiché l’unico paese della regione a godere di un buon grado di stabilità interno, assieme al Marocco (anche se al momento Rabat si trova al centro delle indagini giudiziarie riguardanti la corruzione di membri del Parlamento Europeo). Infine, Algeri condivide con Roma l’interesse a che la situazione in Sahel si avvii verso una stabilizzazione, data la lunghezza del confine che condivide con Mali e Niger, nel tentativo di porre un freno ai flussi migratori ed alle minacce di stampo terroristico. La vicina Tunisia è oggi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, le cui conseguenze avrebbero ripercussioni sull’intero quadrante mediterraneo. Avere buone relazioni con Tripoli ed Algeri permetterebbe di contenere i danni, in attesa di una decisa azione comune a livello europeo.

 

Analisi di Andrea Meleri – tratto da Istituto Analisi Relazioni Internazionali

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