Ieri, tanto la EU Bubble quanto le capitali europee – non tutte e non tutte con lo stesso entusiasmo – hanno tirato un sospiro di sollievo per la conclusione dell’accordo UE-USA riguardo all’annosa questione dei dazi imposti dall’Amministrazione Trump sui prodotti europei. L’Europa aveva evitato il peggio con il Tariff Day lo scorso aprile; lo stallo tra Washington e Bruxelles era tornato, con Trump intenzionato ad applicare il 30% su tutti i prodotti provenienti dall’Europa.
Il lavoro frenetico della squadra diplomatica europea, e nello specifico il ruolo cardine del Commissario per il Commercio Maroš Šefčovič, ha portato alla firma di un accordo che fissa la base dei dazi al 15% su gran parte dei prodotti, con una zona senza tariffe per alcune merci strategiche, tanto per gli USA quanto per l’UE. Tale eccezione comprende le materie prime critiche rare, materiali strategici nel settore dell’aviazione e della difesa, e i semiconduttori. Per l’alluminio, invece, non c’è ancora un accordo vero e proprio: i colloqui proseguiranno fino alla definizione di un sistema basato sulle quote. Più ambigui e difficilmente misurabili saranno invece gli effetti dell’impegno da parte dell’Unione Europea per i 600 miliardi di investimenti negli USA e l’acquisto di 750 miliardi di prodotti energetici.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump hanno celebrato l’accordo. Von der Leyen ha sottolineato come l’accordo sia stato un ottimo risultato, visto il quadro complesso che caratterizza le relazioni transatlantiche. Trump ha – prevedibilmente – celebrato l’intesa come una vittoria americana su tutti i fronti. La realtà è ben più complessa: ci sono diversi livelli di interpretazione e, in più, è essenziale osservare le diverse reazioni degli Stati membri europei, che testimoniano come la partita sia ben lontana dall’essere conclusa e come viviamo in un contesto fluido e in rapida evoluzione.
La notizia dei dazi al 15% ha generato un mix di delusione e mesta accettazione da parte di diversi leader europei. Le reazioni più eclatanti sono state senza dubbio quelle di Spagna e Francia. Il Primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha pubblicamente dichiarato di sostenere l’accordo «ma senza alcun entusiasmo», mentre il Primo ministro francese François Bayrou si è spinto oltre, affermando: «È un giorno cupo quello in cui un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, si risolve nella sottomissione». Il Cancelliere tedesco Friedrich Merz ha accolto il compromesso ritenendolo cruciale per evitare un’«inutile escalation nelle relazioni commerciali transatlantiche»; il cancelliere, però, ha aggiunto che l’economia tedesca subirà notevoli contraccolpi.
Per l’Italia, la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni ha definito come sostenibili le tariffe del 15%, allineandosi all’omologo tedesco. L’Italia, come la Germania, al momento è uno dei due Paesi europei con il saldo commerciale positivo più alto con gli Stati Uniti. Sulla stessa posizione troviamo infine anche il Primo ministro polacco Donald Tusk, che ha annunciato: «Le perdite saranno significative su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma un accordo commerciale rigoroso è meglio di una guerra tariffaria insensata tra alleati».
All’interno del Parlamento europeo, le reazioni sono state più dure, sia da parte del PPE – attraverso le parole di Jörgen Warborn, coordinatore per il gruppo nella Commissione per il Commercio Internazionale (INTA) – sia da parte del Presidente, il socialista tedesco Bernd Lange. Sia i Popolari che i Socialisti – che sostengono von der Leyen assieme a Renew e Verdi – hanno espresso delusione per l’atteggiamento assertivo dimostrato dagli Stati Uniti, rimarcando il ruolo chiave del Parlamento in materia di protezione dei consumatori europei e rispetto delle norme commerciali internazionali ed europee.
Attualmente, vi è molta confusione sugli aspetti davvero vincolanti di quanto negoziato a Washington. Nelle ultime ore, la Casa Bianca ha diffuso un rapporto che contraddice quanto presentato dalla Commissione alla stampa. Il punto più critico è il passaggio in cui il documento afferma che «gli Stati Uniti e l’Unione Europea intendono affrontare le barriere ingiustificate al commercio digitale», dichiarazione immediatamente smentita dalla Commissione.
Quello in corso è un chiaro scontro di narrative: da un lato, la retorica mercantilista di Trump, intenzionato a mostrare una posizione muscolare degli Stati Uniti nei confronti degli alleati; dall’altro, l’Unione Europea, alle prese con l’annoso ma ben noto problema di parlare con una sola voce in sede negoziale. Un elemento che non va tralasciato, inoltre, è quello che riguarda il fattore economico: Trump sta di fatto imponendo agli americani una tassa aggiuntiva per molti prodotti europei, e sono 66 i miliardi stimati che andranno a gravare sul consumatore americano. Nel Continente, invece, VDL ha puntato a contenere i danni, riponendo la propria fiducia nel fatto che, nella storia commerciale, gli attori colpiti da dazi hanno sempre cercato di trovare nuovi sbocchi commerciali e nuovi partner, dando vita a scenari commerciali differenti.


