Libia: un partner chiave dell’Italia

da: Redazione
14 Ottobre 2019

Da quando comincia il caos libico

Dal 2011 la Libia sta attraversando periodi di forte instabilità politica che già in due circostanze sono degenerati in guerra civile: nel 2011 con la destituzione del Colonnello Gheddafi e nel 2019 con il tentativo del Generale Khalifa Haftar di destituire il Governo di Tripoli guidato da Fayez Mustafa al-Sarraj, Primo ministro libico riconosciuto dalla comunità internazionale.

La Libia, porta di accesso per l’Europa

La Libia rappresenta oggi uno degli accessi privilegiati per l’Europa, dove si convogliano tre grandi rotte dei migranti da molti paesi africani e mediorientali: quella occidentale da paesi come Senegal e Costa d’Avorio, quella centrale dalla Nigeria e quella orientale che parte dallo Yemen e dalla Somalia e attraversa tutta la penisola arabica. L’instabilità, acuitasi a partire dal 2011, ha lasciato vaste aree del paese fuori controllo, favorendo così il proliferare di attività di contrabbando e il traffico dei migranti.

Libia, partner strategico

La Libia è il terzo fornitore di petrolio dell’Italia. Nei primi mesi del 2019 il 12,1 per cento del nostro fabbisogno di petrolio è stato soddisfatto dalla Libia; più importanti nella classifica dei fornitori sono stati solo l’Iraq e l’Azerbaigian. Il petrolio rappresenta il pilastro se non l’unica risorsa dell’economia libica: il 98 per cento delle esportazioni libiche verso l’Italia sono proprio rappresentate dal petrolio. Peraltro l’Italia offre i mezzi tecnici per la raffinazione dei carburanti visto che parte del petrolio diretto all’Italia torna di nuovo in Libia (il 55 per cento delle esportazioni italiane verso la Libia è infatti costituito da prodotti petroliferi raffinati).

Libia, paese di grande potenziale

La Libia è il paese in Medio Oriente e Nord Africa che fino al 2011 aveva mostrato il più elevato tasso di sviluppo e che mostrava convergenza con gli standard di paesi simili per conformazione economica, come Oman e Arabia Saudita. Tra il 2008 e il 2010 il PIL pro-capite in Libia si attestava intorno ai 30.000 dollari a parità di potere d’acquisto, circa tre volte quello di paesi confinanti come Algeria ed Egitto. La Libia si estende su una superficie molto ampia (quasi sei volte quella italiana), paragonabile a quella dei due grandi paesi confinanti, Egitto e Algeria, e a quella dell’Arabia Saudita. Tuttavia, conta una popolazione molto ridotta, poco più di un decimo di quella italiana.

Necessità di una ripartenza libica per l’interesse italiano

La stabilizzazione della Libia è tra le priorità strategiche per il nostro Paese, perché si tratta di un partner chiave sia per la gestione dei flussi migratori verso l’Italia e l’Europa sia per l’approvvigionamento energetico. Il Centro Studi Confindustria stima che a partire dal 2011 per l’economia libica si siano prodotti 150-200 miliardi di euro di perdite in infrastrutture e capitale produttivo.

Occorre dunque un piano di investimenti straordinari di almeno 150 miliardi in dieci anni, che nell’immediato restituisca slancio al settore petrolifero e nel medio periodo contribuisca alla diversificazione dell’economia. Al finanziamento degli investimenti parteciperebbero istituzioni internazionali, specialmente europee e statunitensi.

L’Italia attraverso le sue imprese di punta sia nel settore delle infrastrutture sia in quello degli impianti di trivellazione ed estrazione potrebbe giocare un ruolo chiave nel programma di rilancio dell’economia libica. Si stima che le imprese italiane potrebbero prestare opere di ricostruzione per un ammontare di circa 30 miliardi in dieci anni.

Complessivamente, quindi, l’avvio di un programma di stabilizzazione in Libia porterebbe benefici alle imprese italiane stimabili in 4 miliardi l’anno per il prossimo decennio. Soprattutto, porterebbe vantaggi inestimabili per l’Italia, l’Europa e la comunità internazionale, derivanti da un maggiore controllo in un paese chiave nelle rotte dei flussi migratori e per l’approvvigionamento energetico.

Fonte: Ispi; Centro Studi Confindustria

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