Emergenza Covid-19: quando la sfida è anche geopolitica

da: Redazione
24 Marzo 2020

Contributo del presidente di Meseuro Mario Mauro oggi su TriesteAllNews :

La diffusione dell’epidemia del Covid-19 dall’epicentro di Wuhan in Cina a oltre 160 paesi nel mondo rischia di imporre al mondo una rapida ridefinizione della globalizzazione da cui gli equilibri mondiali usciranno sensibilmente modificati e gli attori internazionali potrebbero presentarsi quasi geneticamente mutati alla fine della pandemia. Oltre alle emergenze interne dei singoli paesi la crisi sta infatti avendo un impatto significativo sulle relazioni tra gli Stati e sull’economia mondiale, con risposte che variano dalla chiusura delle frontiere alla limitazione degli scambi turistici, dal blocco della produzione manifatturiera in Cina al calo delle borse in Asia, Europa e Stati Uniti.

Un virus “democratico”

Il Coronavirus ha una caratteristica democratica e apolitica, colpisce tutti mettendo i paesi sullo stesso piano, dalle più longeve democrazie ai sistemi autoritari. Siamo davanti ad una crisi che ha indubbiamente ripercussioni sanitarie ed economiche e che ha messo fortemente in difficoltà tutti i regimi, che possono assistere all’evolversi di crisi politiche interne se l’opinione pubblica non ritenga che il potere politico affronti l’emergenza con misure appropriate.

Il virus che viene dalla Cina

L’espansione del virus nasce in Cina, il principale attore internazionale che era in marcia alla conquista del mondo, con la “Belt and Road Initiative”. La Repubblica Popolare aveva deciso di uscire dai propri confini per proporre un modello di globalizzazione alternativo. Adesso la principale preoccupazione cinese è di riabilitare la propria immagine internazionale giocando il ruolo di partner sanitario globale grazie alla sua esperienza in prima linea nella lotta al virus su larga scala.

L’emergenza europea

In Europa la rapida espansione del Covid-19 ha colpito prima l’Italia e ormai si sta diffondendo senza sosta all’interno di tutta l’Unione Europea mettendo in discussione la tenuta dei sistemi sanitari nazionali e gli equilibri tra i paesi. La tenuta dell’Unione dipenderà dalla risposta che i paesi membri daranno all’impatto della pandemia sulle economie del continente. L’Unione Europea ha avuto sempre difficoltà ad esprimersi con una politica estera comune e l’attuale emergenza sanitaria sarà il vero banco di prova delle velleità dei singoli Paesi contro un approccio realmente condiviso. Con il diffondersi dell’epidemia in Italia, i paesi europei e la stessa Unione Europea hanno mostrato un atteggiamento poco pragmatico e consapevole per far fronte all’emergenza, e poca decisione nel contingentamento sanitario. La chiusura delle frontiere e casi di sequestro dell’equipaggiamento sanitario in viaggio verso l’Italia ha mostrato una UE poco solidale, dove contano solo le decisioni degli Stati. Inoltre, il panico creato sui mercati dalle parole del Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) non appare essere dettato esclusivamente da un lapsus, ma da un’impostazione macroeconomica di fondo che Christine Lagarde potrebbe riproporre nonostante sia stata bacchettata con forza da coloro, e non sono pochi anche tra i vertici della BCE stessa, che rimpiangono Mario Draghi. La dimostrazione è stata di un continente che non ha cercato di dare una risposta unitaria e coordinata al problema lasciando così l’opinione pubblica sfiduciata nei confronti delle istituzioni europee.
Se gli Stati continuano ad offrire soluzioni politiche su basi nazionali senza un coordinamento comunitario, è facile che uno degli effetti post pandemia sarà l’ulteriore perdita di credibilità del progetto europeo.

Il ruolo americano

La pandemia causata dal Covid-19 potrebbe essere la prima crisi globale non a guida americana. Il ruolo degli Stati Uniti sullo scenario internazionale rispecchia l’atteggiamento che Donald Trump ha dato alla sua amministrazione: “America First”. Con una iniziale sottovalutazione del problema, il presidente Trump sta portando avanti una politica di contenimento sanitario e economico che pensa innanzitutto ai cittadini e alle imprese americane. Il fatto stesso che si possa immaginare la possibilità di acquisire in esclusiva per il territorio americano l’utilizzo di un vaccino fa immaginare quanto le politiche di Trump vogliano puntare allo stomaco dell’elettorato americano. La gestione della crisi è ormai un banco di prova per il Presidente, che ha da pensare alla campagna elettorale. Davanti ai competitors democratici in lista per la Casa Bianca (Biden e Sanders, pronti ad attaccare l’approccio presidenziale iperliberista in tema di sanità nazionale), Trump porta avanti un’azione di contenimento nazionalista, poco sensibile negli aiuti verso i partner storici (come l’Italia), lasciando inconsapevolmente alla Cina il ruolo di guida di questa crisi sanitaria mondiale.

Come sarà il mondo post Covid-19?

La crisi del Covid-19 metterà in discussione i principi della globalizzazione economica su cui si era impostata l’economia globale e le relazioni tra gli Stati. Questi ultimi devono però apprendere dal modello della globalizzazione una cosa: dato per certo che siamo davanti ad una pandemia, non si può pensare che risposte unicamente nazionali possano avere successo, sono necessarie risposte globali, sia politiche sia monetarie sia fiscali. Le tensioni ed i dualismi attualmente presenti nel mondo (Iran-Usa, Cina-Usa, Corea del Nord, la crisi in Siria, il ruolo della Turchia, e via dicendo) non aiutano a contenere questa crisi. Bene farebbero i sostenitori della dottrina del multilateralismo ed i promotori delle istituzioni sovranazionali a riprendere iniziativa, perché i progetti oggi in affanno quali ONU e UE ma anche lo stesso WTO riacquistino senso e si offrano come tavoli pragmatici per la gestione degli aspetti più complessi della crisi.

 

 

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