Il nuovo governo di italiano si è insediato in un contesto internazionale molto complicato. Dal suo insediamento, infatti, il nuovo esecutivo non è ancora riuscito a proporre una linea politica nel segno della discontinuità rispetto ai governi e precedenti relativo allo scenario nordafricano – e non lo farà – per diverse ragioni.
Immigrazione:
Le principali direttive di politica estera dell’Italia in Nord Africa sono essenzialmente due: lotta all’immigrazione e diversificazione energetica. L’immigrazione rappresenta oggi un problema per il nostro paese, anche se non può essere di per sé essere considerata una minaccia “strictu sensu”; con tale termine, infatti, si fa riferimento ad un evento o un fatto che possano destabilizzare l’attore geopolitico che ne subisce le conseguenze. Un classico esempio di tale tipo di situazione è rappresentata dal fenomeno del terrorismo.
L’Italia è sì meta di molti flussi migratori, ma molti di questi considerano la Penisola come tappa di transito verso regioni del Nord Europa. Inoltre, il numero di immigrati clandestini che l’Italia ospita, in rapporto alla popolazione totale, è inferiore rispetto quelli presenti in Francia, Germania, Spagna, Polonia e molti altri paesi europei. Dunque, parlare di minaccia risulta eccessivo. Tuttavia, un problema legato ai flussi migratori c’è ed occorre trovare una soluzione. Tra il dire e il fare – come si suol dire – c’è di mezzo il mare. La questione migratoria dipende da molteplici fattori, cui Roma non è (oggi) in grado di cambiare.
Il principale ha una dimensione squisitamente politica: i paesi da cui hanno origine gli immigrati sono, de facto, de failed state, ossia paesi in cui il governo centrale non ha il controllo del territorio né tantomeno delle frontiere; è questo il caso di Libia, Mali, Niger o Sudan. Non a caso, lo scorso 2 novembre il Memorandum of Understanding tra Libia ed Italia relativo la questione migratoria è stato rinnovato automaticamente per altri tre anni. Ciò è avvenuto poiché, senza la possibilità di dialogo con un interlocutore efficace ed efficiente, è impossibile fermare il fenomeno relativo a tali flussi. Fino a quando il paese nordafricano verserà nelle condizioni in cui è, non si riuscirà a porre un freno all’emorragia umana di migranti.
L’altro grande motivo per cui l’Italia non è oggi in grado di porre un argine ai flussi migratori è il ruolo che Turchia e Russia svolgono in Nord Africa e Sahel. La loro presenza in questi territori rende impossibile la nascita di stati unitari e solidi. La costa della Tripolitania è sotto controllo di Ankara, che tiene così sotto ricatto il Belpaese e gli altri stati costieri del Sud Europa, minacciando di “aprire i rubinetti” dei flussi migratori”. Fino a quando l’Italia non riprenderà ad essere l’attore di maggiore influenza nell’area, la situazione non cambierà, e ciò non accadrà né nel breve, né nel medio periodo, poiché il confronto con Erdogan si gioca nella dimensione militare, il cosiddetto hard power, e in questo campo Roma non è in grado di competere (considerando che le Forze Armate turche sono il secondo contingente militare NATO dopo gli Stati Uniti).
Energia e (illusione di) protagonismo nel Mediterraneo:
Le scorse settimane hanno visto il Premier Meloni ed altri membri del governo compiere viaggi diplomatici in Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Turchia, Iraq e Libano. L’obiettivo dichiarato non è solo quello di raggiungere la scurezza energetica attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, ma anche rendere l’Italia un hub energetico nel Mediterraneo. Anche questo è un obiettivo che difficilmente verrà realizzato, e per motivi interni e per motivi esterni.
Fratelli d’Italia è stato il partito che negli ultimi anni ha insistito sulla necessità di “restituire centralità al Mediterraneo nelle politiche italiane”. Con la nascita del nuovo governo è stato inizialmente creato un Ministero per le politiche del mare e per il Sud, che però ha avuto vita breve. Già col Consiglio dei ministri del 10 novembre ha subito una ridenominazione in Ministero per la protezione civile e le politiche del mare, oltre che una riduzione delle sue competenze, con la delega al Sud che è stata trasferita al Ministero guidato da Raffaele Fitto (Affari europei). In aggiunta, il Dicastero è guidato da un Ministro senza portafoglio, ed è dunque dotato di un limitato spazio di manovra. Il risultato di ciò è il fatto che, nuovamente, l’Italia si trova senza un apparato amministrativo in grado di coordinare le politiche del mare nel suo complesso (al contrario di quanto avviene in Francia).
Tale confusione si riflette anche all’esterno, dove Roma deve confrontarsi con attori meglio preparati a riempire il vuoto lasciato dagli americani ormai più di un decennio fa. L’Algeria, con cui abbiamo appena stretto accordi per la fornitura di gas, idrogeno ed una maggiore cooperazione in campo economico, il 20 marzo 2018 ha proclamato una propria Zona economica esclusiva (ZEE) che si estenda fino alle coste della Sardegna, sfidando così la sovranità territoriale marittima italiana. Il Parlamento italiano non ha ancora implementato la legge che prevede la creazione di una ZEE e data l’importanza strategica che Algeri oggi occupa, difficilmente ciò accadrà, per evitare di entrare in rotta di collisione con il paese nordafricano. Anche con l’Egitto, proclami a parte sui casi Regeni e Zaki, le cose non cambieranno. Il Cairo ha la sovranità sul tratto di mare dove Eni ed altre compagnie petrolifere stanno effettuando da anni lavori di estrazione del gas nel giacimento di Zhor, generando enormi profitti. Inoltre, l’Egitto è un partner fondamentale nel progetto EastMed, che mira a portare in Europa il gas israeliano, puntando a marginalizzare la Turchia nel mercato degli idrocarburi.
L’Italia non ha dunque le leve politiche per permettersi di forzare la mano. Né in questo caso, né nello scenario algerino o libico. La via per tornare ad essere protagonisti passa inevitabilmente dalla dimensione continentale. L’Europa, infatti, se unita ha dimostrato più volte di poter avere un ruolo centrale nelle vicissitudini di carattere geopolitico che la riguardano. Quando gli stati sono andati in ordine sparso, hanno fallito in maniera abbastanza clamorosa (vedasi quanto accaduto alla Francia in Sahel). Se Roma non troverà il modo di cooperare con le altre potenze europee, potendo così competere con gli altri attori della regione mediterranea, è destinata ad occupare un ruolo sempre più residuale e ad essere marginalizzata, come avvenuto negli ultimi 10 anni.
Analisi di Andrea Meleri – tratto da Istituto Analisi Relazioni Internazionali