L’Europa si salva se salva il Sahel

da: Redazione
1 Giugno 2021

Articolo scritto da: Andrea Meleri

Negli ultimi giorni, lo sbarco di migranti sulle coste italiane ha riacceso i riflettori sulla questione migratoria, che da anni è oggetto di controversie tra i vari stati europei. L’Italia (che ha visto riempirsi l’hotspot di Lampedusa fino ad ospitare quasi 2000 persone a fronte di una capacità di 250), per l’ennesima volta, ha chiesto agli altri stati dell’Unione di farsi carico della gestione dei migranti, ma le reazioni sono state fredde o addirittura assenti. Sia Francia che Germania andranno al voto entro il prossimo anno, e Macron e Merkel non hanno alcuna intenzione di “tirarsi la zappa sui piedi”, accettando di accogliere sul suolo patrio quote di migranti. L’Austria, pure, si è opposta alla redistribuzione, indicando invece la volontà/necessità di agire in Africa per risolvere il problema. La soluzione proposta dal governo di Vienna è, nel medio-lungo periodo, la più auspicabile, ma come implementarla, se gli interessi europei nel continente nero continuano a divergere?

Perché il Sahel interessa all’Europa:

Il Sahel è quella porzione di terra che si estende dall’Oceano Atlantico fino al Mar Rosso: dunque, dal Senegal fino all’Eritrea. I paesi della regione centro-occidentale (fino al Ciad) durante il XIX secolo sono stati parte dell’impero coloniale francese (come vedremo in seguito, oggi giorno la Francia esercita ancora una forte influenza su questa zona, dal punto di vista culturale, economico e militare). La situazione politica della zona è una delle più caotiche dell’interno scenario internazionale: basti pensare che secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria[1].Per quanto riguarda l’Europa, le principali ragioni di interesse per la regione sono di ordine differente.

Il Sahel è anzitutto crocevia di numerose rotte migratorie interne. In particolar modo, è il Niger a fungere da bacino di raccolta di immigrati e rifugiati provenienti da vari paesi quali Nigeria, Mali, Burkina Faso. Agadez è la città verso cui converge la stragrande maggioranza dei flussi; da qui, le tratte si separano per dirigersi in Algeria e Libia (la cui porta di accesso è il Fezzan, regione caratterizzata per la forte assenza dello stato e delle istituzioni). Stabilizzare la regione significherebbe porre un freno all’emorragia di migranti provenienti da queste zone e diretti verso l’Europa; nel 2020, nonostante la pandemia, il trend migratorio è addirittura aumentato rispetto al 2019, toccando il + 134% degli arrivi lungo la Rotta Mediterranea Centrale (34.100 migranti) e il +46% lungo la Rotta Mediterranea Occidentale (35.000 migranti)[2]. Inoltre, permetterebbe alla Libia di affrontare il difficile percorso di stabilizzazione interna con una preoccupazione in meno (nel paese nord-africano, dilaniato da anni di guerra civile, sono più di 270 mila gli sfollati interni[3]).

In secondo luogo, il Sahel è da tempo diventato una sorta di “safe heavenjihadista. Già nel periodo 1992-1996 il Sudan aveva ospitato Osama Bin Laden e gruppi di combattenti a lui fedeli, dando modo ad Al-Qaeda di espandere la propria rete e diffondersi in pianta stabile nella regione, collaborando con i vari gruppi tribali insorti contro i governi centrali. Gli affari di queste formazioni criminali vanno dal traffico di droga a quello della gestione delle tratte migratorie, passando per la vendita di armi e delle terre rare (che si procurano attraverso il furto).[4]

La presenza degli attori stranieri e le dinamiche internazionali:

I riflettori internazionali verso il Sahel si sono accesi nel 2012/2013, quando in Mali il Mouvement National de Libération de l’Azawad (MNLA) è insorto, proclamando l’indipendenza dell’Azawad (nord del paese) e la costituzione di un proto-stato Jihadista. La decisione dei gruppi separatisti di muovere verso il sud del paese convinse la Francia ad intervenire militarmente con l’Opération Serval, con la quale si è riusciti a raggiungere l’obiettivo di ripristinare l’integrità territoriale maliana, ma non quello di sradicare le milizie jihadiste dal territorio. L’anno successivo fu lanciata la più ampia Operazione Barkhane, con una dimensione regionale, volta a mettere in sicurezza tutti i paesi del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e Ciad). Attualmente, la missione conta su 5100 militari, un contingente cospicuo volto a tutelare le prerogative francesi.

Gli interessi della Francia sono numerosi, a cominciare da quelli di carattere culturale: la lingua francese è infatti molto diffusa nella zona (numerosi sono i progetti di cooperazione volti a supportare la scolarizzazione), e ciò permette una facilità di comunicazione, garantendo così la conservazione di un ascendente su governi e popolazioni locali. Anche dal punto di vista finanziario Parigi ha forti interessi nell’area. A partire dal secondo dopoguerra, infatti, la moneta utilizzata da questi paesi è stato il franco CFA, il cui valore era ancorato a quello del franco francese. Anche dopo l’ingresso nell’euro, la Francia ha continuato a condizionare il valore del franco CFA, stabilendo una parità fissa con la moneta unica, in cambio del trasferimento del 50% delle riserve valutarie dei paesi africani presso il Tesoro francese.

Infine, non va dimenticato il microcosmo di aziende francesi presenti in molti stati dell’area: la Total (in Mali), il gruppo di Vincent Bolloré (soprattutto in Nigeria) e la compagnia meccanica Alstom[5]. A ciò si aggiunge la presenza della Orano in Niger, da dove l’azienda estrae circa 3000 tonnellate l’anno, necessario al funzionamento delle centrali[6].

Anche l’Italia opera nello scenario saheliano, anche se gli interessi in gioco sono sicuramente minori di quelli francesi, soprattutto dal punto di vista economico (in Africa il nostro export vale circa il 3,5% del totale, mentre l’import dal continente africano si attesta al 4,5% circa[7]). Il Belpaese ha aperto ambasciate in Niger (2017), Guinea (2018) e Burkina Faso (2019), cui se ne aggiungerà una in Mali. Inoltre, ha avviato missioni di cooperazione bilaterale in materia di difesa con Burkina Faso e Niger (MISIN); proprio in Niger, presso la capitale Niamey, è prevista la costruzione di un hub logistico internamente italiano a partire da luglio, mentre i 200 uomini delle forze speciali impegnati da poco nella Task Force Takuba andranno ad operare soprattutto nella regione del Liptako-Gourma, zona nevralgica del punto di vista securitario e migratorio.

La presenza occidentale (attraverso le missioni EUTM, EUCAP, Barkhane) in Sahel è volta difendere i propri interessi da nuovi attori internazionali che da anni hanno iniziato ad affacciarsi, chi più chi meno, nella zona. La Cina, ad esempio, oltre ad avere interessi petroliferi nella regione, contende alla Francia la redditizia attività di estrazione dell’uranio. Pechino punta ad espandere la propria influenza nel continente dal quale potenzialmente, in futuro, ci si aspetta una crescita economica maggiore, e i primi successi circa gli investimenti fatti iniziano ad arrivare (ad esempio, il Burkina Faso, dopo anni, ha smesso di riconoscere Taiwan come unico stato cinese). Anche la Turchia, finanziata coi soldi del Qatar, ha da anni fatto il proprio ingresso nel Sahel, riuscendo ad esempio a divenire nel 2008 partner dell’Unione Africana. Il controllo de regione permetterebbe ad Ankara, che si pone come paladina della Fratellanza Musulmana, di aumentare il proprio potere di ricatto nei confronti dell’Unione Europea per quanto riguarda la questione migratoria.

Prospettive future:

Visti gli interessi in gioco, ancora una volta l’Unione Europea si trova davanti ad un bivio: agire unita o perire, nel senso di perdere il proprio ruolo in Africa ed apparire ancora una volta come un attore debole. La missione Barkhane, imponente per numero di uomini e mezzi impiegati, rimane un’iniziativa francese, così come la task force Takuba (seppur coinvolga numerosi paesi europei).

Eppure, negli ultimi anni qualcosa sembra sia cambiato.

Nel 2016, infatti, l’Unione Europea ha elaborato la ‘Global Strategy for the European Union’s Foreign And Security Policy, un documento che ha permesso di compiere, almeno al livello dichiaratorio, un importante passo in avanti verso la desiderata autonomia strategica. Tra le 5 priorità fondamentali, vi è anche quella relativa alla resilienza statale e sociale nelle periferie meridionali ed orientali (inevitabile dunque il riferimento alla questione migratoria)[8]. Certo, tradurre in pratica questi obiettivi è un processo lungo e complesso, e una tappa decisiva sembra essere stato il Consiglio Affari Esteri del 16 giugno 2020, durante il quale venne elaborato un nuovo documento denominato Strategic Compass, mirato al rafforzamento di una cultura di difesa e sicurezza comune a livello europeo. Punto di forza di tale strumento è, tra gli altri, quello che riguarda la sua preparazione; infatti, l’Unione ha fatto un’analisi delle minacce completa ed approfondita grazie al lavoro del EU Intelligence Centre e del EU Military Staff Intelligence. Chiaramente, il raggio di azione dello Strategic Compass dovrà essere complementare a a quello delle altre istituzioni che contribuiscono a provvedere alla sicurezza dell’Unione. Non a caso, in una recente riunione del Consiglio (06/05/2021) si è discusso di questo tema anche alla presenza del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg.

 

Con gli Stati Uniti sempre più impegnati nel contenimento e nell’epocale confronto con la Cina nell’Indo-Pacifico, l’Unione Europea è chiamata ad assumersi sempre più responsabilità, dando prova di poter avere un ruolo attivo in un mondo ormai multi-polarizzato.

[1]https://www.aljazeera.com/news/2021/4/27/record-29-million-in-need-of-humanitarian-assistance-in-sahel-un

[2]https://cesi-italia.org/contents/Osservatorio/Osservatorio%20di%20Politica%20Internazionale%20il%20Sahel%20dopo%20il%20colpo%20di%20stato%20in%20Mali.pdf

[3]https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/libia-la-volta-buona-29598

[4]https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2019/OS_04_2019/05_COCHI_OS_04_2019.pdf

[5]https://www.reportdifesa.it/sahel-tutti-gli-interessi-strategici-e-commerciali-il-ruolo-della-missione-italiana-in-niger/

[6]https://www.orano.group/en/nuclear-expertise/orano’s-sites-around-the-world/uranium-mines/niger/mining-sites

[7]https://www.infomercatiesteri.it/osservatorio-economico-interscambio-commerciale-italiano-mondo.php#

[8]https://eeas.europa.eu/archives/docs/top_stories/pdf/eugs_review_web.pdf

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